venerdì 5 settembre 2025

Vangelo del giorno


 

SABATO DELLA XXII SETTIMANA DEL T.O.


Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore. 

Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. (Gv 14,6)


Alleluia.


Vangelo


Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?


Dal Vangelo secondo Luca

Lc 6,1-5


Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani.

Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?».

Gesù rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?».

E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

Il Santo del Giorno


 

San Zaccaria, profeta



Dal Martirologio


Commemorazione di san Zaccaria, profeta, che predisse il ritorno del popolo dall’esilio nella terra promessa, dando ad esso l’annuncio di un re di pace, che Cristo Signore attuò mirabilmente nel suo trionfale ingresso nella Città Santa di Gerusalemme.

giovedì 4 settembre 2025

Santo del giorno


 🕯 ✨IL SANTO DEL GIORNO 🕯 ✨

SANTA TERESA DI CALCUTTA

5 Settembre


Madre Teresa resterà come l'incarnazione più convincente, nella nostra epoca, del genio della carità evangelica; tutti l'hanno capita, i cristiani delle varie confessioni, i laici di ogni paese, gli indù come i musulmani. Quando, a metà degli anni Settanta, apriva a San Gregorio al Celio la prima casa romana delle sue suore, scelse per loro il pollaio dei monaci camaldolesi, una costruzione bassa, in mattoni bucati e lamiere, con il pavimento in cemento. «Le mie sorelle sono povere e abituate a tutto, vengono dall'India. Il pollaio sarà più che sufficiente», tagliava corto con chi trovava la cosa un po' scomoda. Povere. Come era povera lei, che aveva scelto di condividere in tutto e per tutto la condizione dei più poveri, dei diseredati, di chi dalla vita non aveva avuto altro che miseria, smacchi e sofferenza.


Pier Paolo Pasolini, dopo averla incontrata a Calcutta nel 1961, scrisse: «Dove guarda, vede». All'origine della sua genialità nell'amore c'era il vedere, prima di altri, il fratello che era nel bisogno e di soccorrerlo subito, senza giudicare, senza lasciarsi bloccare dalle frontiere. O anche dalla mancanza di mezzi.


È stata a volte criticata perché nei suoi ospizi non c'erano abbastanza medici e medicine. Ma nelle situazioni disperate nelle quali si è avventurata, non avrebbe concluso granché se avesse dovuto aspettare di avere l'attrezzatura giusta per soccorrere qualcuno.


Madre Teresa, al secolo Agnes Gonxha Bojaxhiu, era nata il 26 agosto 1910 a Skopje nella Macedonia del Nord. Quando il papà, Nikola, morì improvvisamente, la famiglia visse momenti di grandi difficoltà economiche. Fu brava la mamma, Drane, ad allevare Agnes e i suoi quattro fratelli con fermezza e amore, orientando la loro formazione religiosa. Agnes trovò sostegno anche nella vivacità della parrocchia del Sacro Cuore, gestita dai gesuiti, nella quale era attivamente impegnata.


A diciott'anni, desiderosa di fare la missionaria, lasciava la casa e il paese, diretta in Irlanda, dove veniva accolta, con il nome di suor Mary Teresa, nell'istituto delle «Suore di Loreto». Qualche mese dopo venne mandata in India, a Calcutta, dove completò la sua formazione alla vita religiosa, facendo prima i voti temporanei, seguiti da quelli perpetui, e inserendosi nelle attività dell'istituto fino a diventare, nel 1944, direttrice di una scuola per ragazze, il St. Mary.


I primi vent'anni della sua vita religiosa li trascorse così, senza scossoni, insegnando alle ragazze, maturando anche una sua spiritualità forte, che aveva nella preghiera e nell'amore per le consorelle e per le allieve i suoi punti di forza. Ma aveva anche l'occhio attento a ciò che succedeva intorno. E non era granché bello, anzi inquietava non poco.


Intanto il Signore, con illuminazioni interiori, la andava preparando a quella che sarà la sua straordinaria avventura. Al centro delle rivelazioni proprio quello che inquietava madre Teresa: l'indifferenza assoluta della gente verso i poveri, che in gran numero languivano nelle baraccopoli e lungo le vie della città.


Durante un viaggio in treno, nel 1946, le parve di sentire più chiara la voce di Gesù che la invitava ad abbandonare tutto per porsi al servizio di quei poveri. Madre Teresa accolse l'invito e segnò quell'episodio che avrebbe cambiato la sua vita, come «il giorno della decisione».


Le ci volle del tempo per ottenere il permesso di lasciare le Suore di Loreto, ma alla fine, era il 1948, fu libera di seguire la propria vocazione e di entrare nel mondo dei poveri. Indossò il sari, la tunica bianca delle donne indiane, con in più le strisce blu che orlavano il velo, e la croce appuntata sulla spalla. Con il nuovo abito, che segnava anche il cambiamento della sua vita, si recò a Patna dalle Suore mediche missionarie per seguire un breve corso di infermeria. Rientrata a Calcutta, si sistemò provvisoriamente presso le Piccole sorelle dei poveri.


Il 21 dicembre 1948 andò per la prima volta nei sobborghi: visitò famiglie, lavò le ferite di bambini, si prese cura di un anziano malato che giaceva sulla strada. Si imbatté anche in una donna agonizzante, distesa su un marciapiede: era così debole che topi e formiche le stavano rosicchiando il corpo. Da giorni era lì, in attesa della morte, ma nessuno l'aveva soccorsa. Madre Teresa la raccolse e la portò al vicino ospedale, dove le dissero che era troppo malata e troppo povera per essere curata.


Calcutta era piena di gente che finiva così. Teresa capì che non poteva più restare a guardare, doveva fare qualcosa. Chiese, e le fu concesso, di occupare parte di un ex tempio indù diventato covo di mendicanti e criminali di ogni risma. Madre Teresa lo trasformerà nella prima «Casa dei moribondi».


Le baraccopoli � con i loro poveri ai quali dare speranza, con i bambini abbandonati da curare e amare, con i moribondi da accompagnare nel passo estremo... � divennero la terra di missione, sua e di altre donne che via via decideranno di condividere la sua vita e il suo impegno. Insieme diedero vita alla Congregazione delle Missionarie della Carità, che il 7 ottobre 1950 veniva riconosciuta ufficialmente nell'arcidiocesi di Calcutta, e nel febbraio del 1965 diventava di diritto pontificio.


Agli inizi del 1960 cominciò l'emigrazione delle Missionarie della Carità in altre regioni dell'India. Successivamente, incoraggiate in particolare da Paolo VI, aprivano una casa in Venezuela. Ad essa seguirono numerose altre fondazioni in ogni parte del mondo, ovunque ci fossero poveri abbandonati cui portare l'aiuto e il conforto della fraterna solidarietà e la certezza che Dio li amava. Negli anni Ottanta, dopo la caduta delle varie cortine, madre Teresa aprì case di missione anche nei paesi comunisti, inclusa l'ex Unione Sovietica, l'Albania e Cuba. È stata la prima a inserire delle suore negli ospedali sovietici, dopo l'esplosione di Cernobyl, e la prima a mettere piede in Albania, quando il paese era ancora sotto il regime comunista. Persino in Vaticano, nella casa del papa, aprì una mensa per i poveri.


Madre Teresa affiancò alla prima congregazione altre istituzioni, come i Fratelli Missionari della Carità, le Sorelle e i Fratelli contemplativi, i Padri Missionari della Carità e gruppi di collaboratori laici. 11 tutto per rispondere meglio alle esigenze dei poveri.


Tanto impegno e proliferare di iniziative non potevano passare inosservati. Le immagini di questa donna minuta e con il tempo sempre più curva, avvolta nel bianco sani, china a confortare un moribondo o a curare piaghe infette, ad accarezzare bambini lacerati dall'abbandono e dall'indifferenza... fecero il giro del mondo, sollevando l'ammirazione di tanta gente, che cominciò a interessarsi delle sue opere e della sua vita, ad ascoltare i suoi messaggi, resi con parole semplici che esaltavano la vita, che invitavano al suo rispetto in ogni momento, dal concepimento alla morte. Parole semplici e a volte anche forti che scuotevano e dividevano.


L'ammirazione si tradusse anche in riconoscimenti importanti come il Premio indiano Padmashri, assegnatole nel 1962, e il Premio Nobel per la Pace, conferitole nel 1979. Ricevette riconoscimenti e attenzioni «per la gloria di Dio e in nome dei poveri».


Negli ultimi anni, nonostante seri problemi di salute, continuò a guidare la sua congregazione e a rispondere alle necessità dei poveri e della chiesa. Morì a Calcutta il 5 settembre 1997. Il mondo intero, che aveva seguito il suo lento spegnersi, la pianse, mentre il governo indiano le rendeva onore con i funerali di Stato. Sepolta nella Casa Madre delle Missionarie della Carità, la sua tomba fu ben presto luogo di pellegrinaggi e di preghiera. «L'intera vita e l'opera di madre Teresa � ha detto Giovanni Paolo II nel proclamarla beata � offrirono testimonianza della gioia di amare, della grandezza e della dignità di ogni essere umano, del valore delle piccole cose fatte fedelmente e con amore, e dell'incomparabile valore dell'amicizia con Dio». Questa è madre Teresa: il genio femminile sposato alla carità evangelica, che guida la chiesa verso i poveri.


Il 20 dicembre 2002 il papa Giovanni Paolo II approvò i decreti sulle sue virtù eroiche e sui suoi miracoli, è stata beatificata il 19 ottobre 2003 e canonizzata da Papa Francesco il 4 settembre 2016.


MARTIROLOGIO ROMANO. A Calcutta in India, beata Teresa (Agnese) Gonhxa Bojaxhiu, vergine, che, nata in Albania, estinse la sete di Cristo abbandonato sulla croce con la sua immensa carità verso i fratelli più poveri e istituì le Congregazioni delle Missionarie e dei Missionari della Carità al pieno servizio dei malati e dei diseredati.

mercoledì 3 settembre 2025

Il santo del giorno


 🕯 ✨IL SANTO DEL GIORNO 🕯 ✨

SANTA ROSALIA

4 Settembre


Nacque da Sinibaldo, signore di Quisquina e discendente del re Carlo Magno. I genitori si preoccuparono di educare la fanciulla nei principi cristiani. E la piccola Rosalia corrispose alle cure dei genitori. Devotamente attendeva alle pratiche di pietà, amava teneramente la Madonna, e per la sua innocenza e bontà di cuore divenne l'idolo dei genitori.


Conoscendo il pregio della verginità, generosamente si consacrò tutta al suo sposo Gesù, mantenendosi illibata per tutta la sua vita. Crescendo negli anni e venendo a conoscere quanto perfido sia il mondo e quanto difficilmente un giglio possa conservarsi intatto tra il fango, fuggì dalla casa paterna e si ritirò in una grotta nei crepacci del monte Quisquina presso Palermo, per darsi all'unione perfetta col suo Sposo Celeste.


Solo una pastorella conosceva il luogo del rifugio di Rosalia ed ogni giorno le portava pane e latte. P difficile esporre a quali aspre penitenze e digiuni si sottopose Rosalia. Si vede ancora la grotta in cui dimorava. Vi si scende per una scala come in un sepolcro: umida, oscura. Si conserva tutt'ora la pietra su cui riposava la Santa e sul muro si vedono scolpite queste parole: a Io, Rosalia, figlia di Sinibaldo, signore di Quisquina e di Rosa, per amore del Signore mio Gesù Cristo scelsi di abitare in questa grotta».


Non vi restò però molto tempo perché avvisata dal suo Angelo che se ivi fosse restata presto sarebbe stata trovata dai suoi genitori, si diresse verso il monte Pellegrino. Sulla sommità del monte gli Angeli le indicarono una grotta che aveva un'apertura appena sufficiente per entrarvi. La luce, penetrando in essa, ne rischiarava le nere pareti; il suolo era talmente bagnato che a stento Rosalia trovò un angolo dove riposarsi senza sprofondare nel fango.


Condusse quel genere di vita per vari anni, finché lo Sposo Divino la chiamò a sé. Una viva luce in quella notte illuminò tutto il monte Pellegrino. A tale improvviso prodigio tutta Palermo si scosse, non conoscendone la ragione. Allora quell'umile pastorella che era stata a parte dei segreti della Santa, corse in città ad annunziare la sua morte. Fu trovata morta dai pellegrini il 4 settembre del 1165. Il giorno seguente si radunò tutto il popolo ed in processione salirono a prendere il prezioso corpo di S. Rosalia, trasportandolo trionfalmente nella cattedrale.


D'allora in poi il Signore si degnò di glorificare la Santa con ripetuti miracoli e il culto di lei andò sempre più crescendo nella città di Palermo e fuori, tanto che quando la Sicilia nel 1625 fu desolata dalla peste, con voce unanime quel popolo si volse a S. Rosalia, trasse le sue reliquie dalla cattedrale, le portò processionalmente per la città ed il terribile morbo parve.


PRATICA. Facciamo oggi una mortificazione per amor di Dio.


PREGHIERA. Esaudiscici o Dio, nostro Salvatore affinché come ci rallegriamo per la festa della beata vergine Rosalia, così veniamo ammaestrati nella vera devozione.


MARTIROLOGIO ROMANO. A Palermo il natale di santa Rosalia, Vergine Palermitana, discendente dal sangue regale di Carlo Magno, la quale, per amore di Cristo, fuggì il principato paterno e la reggia, e, solitaria nei monti e nelle spelonche, menò una vita celeste.



martedì 2 settembre 2025

Memoria


 San Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa



Memoria


Memoria di san Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa: dopo avere intrapreso la vita monastica, svolse l'incarico di legato apostolico a Costantinopoli; eletto poi in questo giorno alla Sede Romana, sistemò le questioni terrene e come servo dei servi si prese cura di quelle sacre. Si mostrò vero pastore nel governare la Chiesa, nel soccorrere in ogni modo i bisognosi, nel favorire la vita monastica e nel consolidare e propagare ovunque la fede, scrivendo a tal fine celebri libri di morale e di pastorale.

Morì il 12 marzo.

Santo del giorno


 🕯 ✨IL SANTO DEL GIORNO 🕯 ✨

SAN NONNOSO

2 Settembre


Esistono così poche informazioni su Nonnoso da non renderlo particolarmente interessante in se stesso, tuttavia sono degne di nota perché illustrano il metodo di S. Gregorio Magno (3 set.), sua sola fonte, oltre alla storia del culto. Nel 593, alcuni amici chiesero a Gregorio di creare un compendio delle storie dci miracoli operati dai santi italiani, e una delle persone cui chiese aiuto fu Massimiano, vescovo di Siracusa, in particolare per avere notizie su «l'abate Nonnoso» (de donino Nonnoso qui iuxta domnum Anastasium de Penturnis fuit). Massimiano riferì i particolari a Gregorio, che ammise di esserne già venuto a conoscenza, ma poi dimenticati (oblivione mandavi). Li aveva appresi da un vecchio monaco che, come Nonnoso, era vissuto nel monastero di Suppentonia vicino a Civita Castellana, sotto la guida dell'abate Anastasio, che si dichiarò suo amico.


Gregorio, che descrive Nonnoso come umile e particolarmente buono, afferma che fu priore del monastero sul Monte Soratte, sotto la direzione di un abate particolarmente severo e austero, per un certo periodo, durante il quale gli furono attribuiti tre miracoli: il primo, simile a quello di S. Gregorio Illuminatore (30 set.), fu la rimozione di una roccia così grande che neanche cinquanta coppie di buoi sarebbero riuscite a trascinare via da un terreno che il priore aveva intenzione di trasformare in giardino; il secondo, quando con le sue preghiere riuscì a mettere insieme i frammenti di una lampada di vetro che gli era caduta, evitando così i rimproveri del severo abate, miracolo simile a quello attribuito a S. Donato, vescovo martire di Arezzo.


Sembra che l'ispirazione del terzo miracolo sia tratta dal profeta Eliseo: un anno, il raccolto di olive del monastero andò perduto, e l'abate disse ai monaci di uscire dal convento e recarsi a lavorare per ottenere in cambio un po' d'olio dai contadini, ma Nonnoso, temendo che il raccoglimento dei monaci fosse di conseguenza disturbato, chiese all'abate di revocare l'ordine, di dire ai monaci di prendere le poche olive raccolte e di porre un po' dell'olio ottenuto dalla spremitura in ogni recipiente disponibile, poi trascorse la notte pregando. Il mattino seguente i contenitori erano pieni.


Gregorio non riferisce la data della morte di Nonnoso, dice solo che fu sepolto sul Monte Soratte; quando la zona fu devastata dai saraceni alla fine del D( secolo, i resti furono portati a Suppentonia, poi, a metà dell'xi secolo, a Frisinga, dove furono riscoperti nel 1161, durante alcuni restauri, e seppelliti nuovamente nella cripta della cattedrale.


Molto più tardi, nel 1708, quando nessuno era in grado di ricordare dove fossero, furono ritrovati, e questa volta collocati in un bel sepolcro nella cripta della cattedrale, durante una festa in onore del santo che durò una settimana. Non si conosce la data del successivo trasferimento del cranio a Bamberga, dove è ancora oggetto di devozione. S. Nonnoso è venerato da coloro che soffrono di malattie renali, che per secoli hanno compiuto la cosiddetta reptatio per cryptam o Durchschiipfsbrauch, uno strano piccolo rituale che consiste nel camminare carponi per tre volte attorno al sepolcro, implorando l'aiuto del santo.


Il nome di Nonnoso non compare in nessuno dei martirologi antichi, ed è citato per la prima volta in una raccolta di leggende austriache del XTT secolo. Il culto, che sembra essere stato esteso in Baviera, rifiorì grazie all'impegno di un monaco cistercense chiamato Andrea di San Bonaventura tra il 1655 e il 1658, sul Monte Soratte, dove nel 1661 furono riportate parte delle reliquie.


MARTIROLOGIO ROMANO. Sul monte Soratte sulla via Flaminia nel Lazio, san Nonnoso, abate.


domenica 31 agosto 2025

Vangelo del giorno


 Vangelo del giorno (Luca 4,16-30)


Gesù venne a Nazaret, dove era cresciuto, e andò secondo la sua usanza nella sinagoga il giorno di sabato. Si è alzato per leggere

e gli fu consegnato un rotolo del profeta Isaia. Srotolò la pergamena e trovò il passaggio dove era scritto:

"Lo Spirito del Signore è su di me,

perché mi ha consacrato

per portare la lieta novella ai poveri.

Mi ha mandato a proclamare la libertà ai prigionieri

e recupero della vista ai ciechi,

per lasciare liberi gli oppressi

e per proclamare un anno accettabile al Signore. "

Arrotolando la pergamena, la riconsegnò all'addetto e si sedette, e gli occhi di tutti quelli della sinagoga lo guardarono intensamente.

Egli disse loro: «Oggi questo passaggio della Scrittura si compie nell'udito. "

E tutti parlavano bene di lui e si stupirono delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca.

Egli disse loro: «Certo mi citerete questo proverbio: Medico, curatevi!» e di': Fa' qui, nel tuo luogo natale, le cose che abbiamo udito sono state fatte a Capernaum. '"

Ed egli disse: «Amen, io ti dico: nessun profeta è accettato nel suo luogo natale.

Infatti vi dico che c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia quando il cielo fu chiuso per tre anni e mezzo e una grave carestia si sparse su tutto il paese.

Elia non fu inviato a nessuno di questi, ma solo a una vedova in Zarepat, nel paese di Sidone.

Ancora una volta, c'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; eppure nessuno di loro fu purificato, ma solo Naaman, il Siro. "

Quando il popolo della sinagoga udì questo, si riempiva di furore.

Si levarono, lo cacciarono fuori dalla città, e lo condussero sulla fronte del colle sul quale era stata costruita la loro città, per gettarlo giù a capofitto.

Ma egli passò in mezzo a loro e se ne andò.


https://www.vaticannews.va/en/word-of-the-day/2025/09/01.html 

Santi del giorno


 SANT'EGIDIO ABATE


Nel territorio di Nîmes nella Gallia narbonense, ora in Francia meridionale, sant’Egidio, da cui poi prese il nome la cittadina fiorita nella regione della Camargue, dove si tramanda che egli costruì un monastero e pose termine al corso della sua vita mortale.

sabato 30 agosto 2025

Santo del giorno


 

🕯 ✨IL SANTO DEL GIORNO 🕯 ✨

SS. GIUSEPPE D’ARIMATEA E NICODEMO

31 Agosto


A Gerusalemme, commemorazione dei santi Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo, che raccolsero il corpo di Gesù sotto la croce, lo avvolsero nella sindone e lo deposero nel sepolcro. Giuseppe, nobile decurione e discepolo del Signore, aspettava il regno di Dio; Nicodemo, fariseo e principe dei Giudei, era andato di notte da Gesù per interrogarlo sulla sua missione e, davanti ai sommi sacerdoti e ai Farisei che volevano arrestare il Signore, difese la sua causa.


Giuseppe d'Arimatea

La figura di Giuseppe di Arimatea emerge con forza nei Vangeli in occasione della sepoltura di Gesù. È un uomo ricco e onorato, un proprietario terriero, che fa parte del Sinedrio. Secondo Marco «anche lui aspettava il regno di Dio». È cioè un ebreo credente la cui fede nella speranza di Israele si traduce nella simpatia verso Gesù e nel dissenso da coloro che hanno favorito la condanna. Matteo va oltre affermando che era un discepolo del rabbi di Nazaret, Giovanni specifica «di nascosto per timore dei giudei».


Dopo la morte di Gesù, Giuseppe primo tra i giudei, abbandona ogni precedente, pusillanime esitazione per aderire apertamente alla fede cristiana. Ricorre, difatti, alla sua posizione altolocata per ottenere da Pilato il corpo di Gesù. Secondo le abitudini dei romani, invece, esso doveva essere seppellito in una fossa comune. Un gesto di coraggio e di generosità perché la simpatia per il condannato poteva esporlo al rischio di essere considerato complice del giustiziato e passibile del medesimo supplizio. Inoltre, il contatto con un cadavere gli impediva di celebrare la Pasqua giudaica ormai imminente.


Aiutato da Nicodemo, che porta aromi in grande quantità, Giuseppe si distacca così dal sistema cultuale degli ebrei e si prepara alla celebrazione della gloriosa vittoria del crocifisso sulla morte in quello stesso giardino dove Gesù apparirà risorto alla Maddalena. Dopo la Pasqua non abbiamo più sue notizie dai Vangeli canonici, ma solo dagli scritti apocrifi. La sua figura è familiare all'immaginario dei credenti per la presenza nelle innumerevoli rappresentazioni della deposizione e sepoltura di Gesù.

San Nicodemo

Nicodemo, in qualità di fariseo e di "capo degli ebrei" era un membro attivo del Sinedrio, supremo organo giudiziario ebraico della città di Gerusalemme. Di lui ne parla San Giovanni nel suo Evangelo.


Come riportano le Scritture, correva l'anno 28 quando Gesù, venuto a Gerusalemme, incontrò proprio Nicodemo. Quest'ultimo rimase letteralmente impressionato dei miracoli che Gesù stava compiendo passo dopo passo, per cui lo andò a trovare di notte con l'intento di chiarire un po' cosa stesse succedendo e scelse appunto la notte per non farsi scoprire dagli altri membri del Sinedrio.


I Vangeli riportano solo un breve scambio di battute tra i due. Nicodemo disse a Gesù: "I fatti osservati ti manifestano Messia. Allora, di quale natura è la tua missione? Con quali mezzi la compirai? Si tratta dell'impero vivamente atteso dai giudei con una rivincita definitiva sui pagani?". Gesù le rispose: "Il regno di Dio è soltanto dominio di Lui sulle anime, per farne parte è necessario rinascere spiritualmente. Questo è stato preannunziato dai profeti. Tu sei maestro in Israele e ignori questo?".


Da quel momento in poi Nicodemo capisce che Gesù è un inviato di Dio e quindi ne parla a favore nel consiglio, dicendo che la legge dà diritto all'accusato (Gesù, per l'appunto) di essere ascoltato. Nicodemo si mette anche in prima linea per seppellire Gesù e porta gli aromi necessari per imbalsamarne il corpo. Il motivo per cui la sua figura viene spesso abbinata a quella di Giuseppe d'Arimatea è legato al fatto che proprio lui, Nicodemo, aiuta Giuseppe a deporre il corpo di Gesù nella tomba, portando mirra e aloe che sarebbero appunto servite per la sepoltura del corpo.


Di lui non si è mai saputo null'altro. Molto probabilmente divenne un discepolo di Cristo e ad oggi gli viene attribuito un vangelo apocrifo, risalente su per giù al II secolo, in cui si parla della deposizione di Gesù e in cui sembra si rivaluti la figura, o meglio, la posizione di Ponzio Pilato.


MARTIROLOGIO ROMANO. A Gerusalemme, commemorazione dei santi Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, che raccolsero il corpo di Gesù sotto la croce, lo avvolsero nella sindone e lo deposero nel sepolcro. Giuseppe, nobile decurione e discepolo del Signore, aspettava il regno di Dio; Nicodemo, fariseo e principe dei Giudei, era andato di notte da Gesù per interrogarlo sulla sua missione e, davanti ai sommi sacerdoti e ai Farisei che volevano arrestare il Signore, difese la sua causa.


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Santo del giorno


 🕯 ✨IL SANTO DEL GIORNO 🕯 ✨

BEATO ALFREDO ILDEFONSO SCHUSTER

30 Agosto


Il cardinale Schuster fu arcivescovo di Milano, l'arcidiocesi più grande d'Italia, durante il regime fascista, la Seconda guerra mondiale e i difficili anni del dopoguerra, quando per un certo periodo fu il governatore effettivo della città. Ciò lo portò a essere implicato nell'arena politica, sollevando perplessità riguardo la sua beatificazione, che tuttavia si basa sulle sue qualità personali più che sull'attività pubblica e sul riconoscimento del suo servizio alla Chiesa.


Nacque a Roma il 18 gennaio 1880 e fu battezzato Lodovico Alfredo Luigi, ma tutti lo chiamavano Alfredo. Era d'origini modeste, il padre Giovanni produceva le uniformi per la Guardia Papale Svizzera. Entrò nel noviziato benedettino nel novembre 1898, prendendo il nome religioso di Ildefonso. Fu ordinato sacerdote dal cardinale Respighi nella basilica di S. Giovanni in Laterano il 19 marzo 1904.


Le lettere degli anni successivi contengono la testimonianza dei suoi studi in campo storico (lavorò alla storia dell'abbazia di Farfa durante le vacanze), liturgico, archeologico e artistico, così come della ricerca della santità. Fu maestro dei novizi dal 1908 al 1916. La reputazione di uomo saggio e devoto aumentò, e nel 1910 gli fu offerto il primo di una numerosa serie di posti di insegnante: la cattedra di liturgia alla Scuola Superiore di Musica Sacra. La sua passione per la materia lo rese guida del movimento liturgico in Italia e autore dell'imponente Liber Sacramentorum: il primo volume apparve nel 1919 e venne ristampato diciannove volte e tradotto in otto lingue. Dal 1913 insegnò storia della Chiesa alla facoltà benedettina di S. Anselmo; nel 1914 fu nominato assistente liturgico della Congregazione per la Liturgia; nel 1917 aggiunse ai suoi numerosi incarichi quello di insegnante di liturgia all'Istituto Pontificio Orientale, aperto da papa Benedetto XIV.


All'interno dell'ordine fu segretario del capitolo generale della Congregazione Cassinese tenuto nel 1915, poi procuratore generale della Congregazione; nel dicembre 1915 fu eletto priore di S. Paolo e quando l'abate del convento morì nel 1918, Ildefonso fu eletto suo successore all'unanimità. Come abate aprì il monastero durante i fine settimana a gruppi di studenti e per ritiri spirituali. Un gruppo che lo frequentava regolarmente era quello guidato da Giovanni Battista Montini. Papa Benedetto XV lo teneva in grande considerazione, così come papa Pio IX che, nel 1920, lo nominò presidente della Commissione papale dell'Arte Sacra e lo inviò come visitatore apostolico in tutta Italia. Nel 1926 fu incaricato della supervisione dei seminari nella provincia ecclesiastica di Milano.


L'allora arcivescovo di Milano, cardinal Eugenio Tosi, morì nel gennaio 1929 e i voti indicarono Schuster come suo successore. Fu consacrato nella Cappella Sistina a luglio e, eletto immediatamente cardinale, venne presentato a re Vittorio Emanuele III per il giuramento di fedeltà allo stato (fu il primo vescovo italiano a farlo, secondo gli accordi del nuovo Concordato, firmato quello stesso anno). Prese servizio a settembre, ponendo fine a trent'anni di vita monastica. Si trovò a capo della più ampia diocesi d'Italia, composta da cinque province, con tre milioni di abitanti serviti da quasi duemila sacerdoti, in un'epoca nella quale il Concordato prometteva una nuova era di cooperazione tra Chiesa e Stato. Lo Stato italiano stava assistendo all'irresistibile ascesa del fascismo sotto Benito Mussolini, il duce, ma Milano vantava una tradizione politica di operai di sinistra: solo il quindici per cento dci lavoratori era a favore del fascismo, e solo l'otto per cento del clero era apertamente simpatizzante.


I fedeli accolsero Schuster con grande entusiasmo, anche se la stampa fascista smise ben presto di riferire sulle sue attività. Iniziò una serie di lettere pastorali: le prime trattarono i temi dei seminari, del giornalismo cattolico e della liturgia. Seguendo le orme di S. Ambrogio (7 dic.), di S. Carlo Borromeo (4 nov.) e del B. Andrea Ferrari (2 feb.), Ildefonso si impegnò in una rigorosa serie di visite pastorali. Con novecento parrocchie, a ognuna delle quali dedicava un giorno non festivo, la visita completa durò da un minimo di tre a un massimo di sei anni; stava compiendo il quinto giro quando fu colto dalla morte. Visitò le parrocchie cittadine in inverno e quelle fuori città nelle altre stagioni, raggiungendo a piedi o su un asino quelle di montagna e percorrendo a volte in tre giorni cinquanta miglia a piedi.


Il suo messaggio era rigoroso: condannava il cinema, le letture profane, il teatro e la danza, come aveva fatto il S. Curato d'Ars. Non temeva di denunciare il "peccato" come la sola ragione per il declino dell'osservanza religiosa e per le sofferenze della gente. Sostenne strutture come l'Azione cattolica, nonostante l'opposizione dello stato. In nome della purezza liturgica enfatizzò il ruolo centrale dell'eucarestia e insistette sul fatto che il clero non doveva solo predicare la parola di Dio ma viverla in ogni suo aspetto, destituendo coloro che riteneva non si attenessero a questa regola. Nonostante l'attività pastorale incessante trovò tempo per scrivere la storia della diocesi di S. Ambrogio. Fu impegnatissimo nel preparare due grandi ricorrenze: il quarto centenario di S. Carlo Borromeo e il sedicesimo di S. Ambrogio. Diede anche vita a due riviste mensili, di cui una dedicata agli studi sui santi.


Prese il Codice di Diritto canonico del 1918 come strumento di base per la riforma nell'arcidiocesi: ristabilì i sinodi diocesani iniziati da S. Carlo Borromeo, interrotti dal 1914. Abituato a vivere secondo una regola monastica, tentò di applicarne i principi alla sua vasta diocesi: al primo sinodo, stabilì quattro "pilastri" principali sui quali la diocesi avrebbe dovuto appoggiare: l'Ufficio divino, S. Tommaso d'Aquino, il Codice di Diritto canonico e la Bibbia come fondamento ultimo. Il suo secondo sinodo, tenuto nel 1935, si concentrò sulla liturgia; il terzo, nel 1941, riaffermò i princìpi del primo; il quarto, nel 1946, poiché aveva terminato il terzo giro di visite pastorali, fu dedicato all'eucarestia (a Milano si tenne un Congresso Eucaristico trionfale). Il quinto e ultimo sinodo, nel 1953, fu il suo testamento finale per l'arcidiocesi, incentrato sullo spirito pastorale che doveva fare conoscere la legislazione al popolo: «Meno leggi e più osservanza». I sinodi erano accompagnati da lettere pastorali al clero con la frequenza di una al mese dal 1930 al 1940. Trovò il tempo per rinnovare la liturgia "propria" di Milano, il rito ambrosiano, e per riformare l'arte nelle chiese.


Riassunse gli scopi di tutte le sue riforme in un "memoriale", che inviò a tutti i parroci nel 1939, il decimo anniversario del suo episcopato. Come la maggioranza dei cattolici italiani, considerò il Concordato del 1929 come un atto per «ridare l'Italia a Dio e Dio all'Italia» (Pio XI). Il suo passato monastico lo portava a considerare sacre tutte le autorità legittime. Le sue relazioni con il regime variarono molto nel corso degli anni: gli anni dal 1929 al 1938 possono essere visti come un periodo di accettazione generale, dal 1938 al 1943 come un processo di presa di distanza, seguiti da una ferma opposizione in seguito alle conseguenze della guerra. Nei primi anni della salita al potere di Mussolini oscillava tra azioni di sostegno e attività contrarie: per esempio rifiutò di celebrare la Messa per un raduno di "camicie nere" e di officiare all'apertura della nuova stazione ferroviaria di Milano, un trionfo fascista, nel 1931. Compì l'atto più deprecabile della sua carriera nell'ottobre 1935, quando diede il suo entusiastico appoggio all'invasione dell'Abissinia, che superficialmente considerava una crociata per riportare il Vangelo in un paese che lo aveva conosciuto molti anni prima e che poi lo aveva abbandonato. Descrisse la guerra come «una missione nazionale e cattolica per il bene». Un anno dopo approvò l'intervento italiano nella guerra civile spagnola, che considerava causata dai bolscevichi, che rappresentavano la continuazione della minaccia alla Spagna cattolica iniziata secolo dagli arabi.


Nel 1938 gli ebrei iniziarono a fuggire dalla Germania, e un gran numero arrivò a Milano chiedendo di venire battezzati come misura di sicurezza. Schuster li persuase che non era opportuno ricevere il battesimo senza esserne convinti e trovò loro rifugio in edifici parrocchiali e in case religiose_ Nell'autunno inviò una missiva ai suoi sacerdoti (per prudenza non pubblicata fino al 1951) nella quale attaccava senza mezze misure la dottrina del razzismo come «una minaccia internazionale, tale e quale il comunismo». Pio XI si dichiarò apertamente d'accordo con lui. Schuster dichiarò l'entrata in guerra dell'Italia come un «tradimento nei confronti della Francia» e si rifiutò di benedire i soldati che partivano per il fronte. Quando la dittatura fascista cadde nel luglio 1943, la accusò di aver tradito l'Italia e, nei momenti di confusione che seguirono, si impegnò a dare aiuto materiale alla gente.


Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, diede il suo appoggio alla decisione iniziale di non belligeranza dell'Italia, imponendo ai suoi fedeli un regime di austerità. Quando l'Italia entrò in guerra sospese le visite pastorali per trascorrere più tempo possibile a Milano con la sua gente, e si fece un punto d'onore di visitare i feriti che arrivavano in città. Considerava la guerra, le privazioni e le sofferenze come qualcosa di purificante, come un giudizio divino sull'immoralità delle città. Dal punto di vista pratico, aprì un "guardaroba" per i poveri e le vittime dei bombardamenti nell'arcivescovado. Quando i tedeschi occuparono l'Italia, condannò l'invasione come «il più grande tradimento della storia».


Schuster era fuori Milano per una visita pastorale quando Mussolini fu deposto, e fu avvisato di tornare in città velocemente per evitare una rivolta popolare. Trovò folle che strappavano manifesti fascisti dai muri e che distruggevano le statue del duce. I bombardamenti su Milano si intensificarono, culminando in quello della notte del 13 agosto 1944, compiuto da oltre quattrocentottanta bombardieri angloamericani. Il cardinale scrisse una lettera pastorale in cui supplicava Dio e gli Alleati di non ridurre alla disperazione completa la già fortemente provata popolazione. Sapeva che l'Alto Comando tedesco aveva intenzione di ritirarsi dall'Italia attraverso la Lombardia, lasciando terra bruciata dietro di sé e usando Milano come ultima postazione. Milano si trovò quindi tra la Repubblica di Salò di Mussolini, le forze di occupazione tedesche e gli Alleati che avanzavano: Schuster si impegnò a salvare quello che restava della seconda capitale religiosa e culturale italiana. Intraprese una corrispondenza con gli Alleati tramite il colonnello Dulles in Svizzera e si appellò personalmente a Mussolini perché si arrendesse.


Il 25 aprile 1945 Mussolini e i suoi ministri arrivarono alla residenza dell'arcivescovo per un incontro, organizzato da Schuster, con i rappresentanti dei partigiani italiani. Schuster implorò Mussolini di consegnare i documenti e di prepararsi all'ergastolo come prigioniero politico. Ma quando questi scoprì che gli stavano chiedendo di firmare un documento che era stato concordato in anticipo con i tedeschi, dichiarò di essere stato tradito, perse la calma e se ne andò dalla riunione. Quella sera fuggendo, travestito da soldato tedesco, sul lago di Como, fu smascherato dai partigiani e giustiziato. Quattro anni dopo Schuster confermò pubblicamente di essere stato al centro degli intensi negoziati allo scopo di risparmiare ulteriori distruzioni.


Finita la guerra Schuster iniziò a insistere sulla necessità di una ricostruzione spirituale e materiale, rimproverando alle nazioni che erano state coinvolte nella guerra di non aver ascoltato la voce della Chiesa. Organizzò e sostenne opere di assistenza per i reduci dal fronte, trasformando quello che rimaneva della residenza arcivescovile in un magazzino di cibo e vestiti.


Dovette affrontare l'accusa di sostegno ai fascisti mossagli da molte persone, e la relativa ostilità del nuovo governo civile: la sua risposta fu che la Chiesa non poteva schierarsi politicamente ma doveva salvare tutti, «specialmente i più grandi peccatori».


Sottolineò l'importanza della missione temporale della Chiesa in favore dei poveri e accusò il comunismo di materialismo, totalitarismo e ateismo, invitando i cattolici a non votarlo. Questa posizione sarebbe stata sostenuta da una dichiarazione del Santo Uffizio del 1949. La sua opinione era che la ricostruzione della società italiana dovesse coincidere con la restaurazione di un tessuto sociale cristiano, ma, nello stesso tempo, egli era abbastanza acuto da saper distinguere l'ideologia comunista dalle azioni pratiche volte al miglioramento delle condizioni dei poveri, per le quali espresse la sua approvazione.


Quando nel 1946 si svolse il referendum per decidere se l'Italia dovesse rimanere una monarchia o diventare una repubblica, egli non si espresse, dicendo che era una questione puramente politica nella quale la Chiesa non aveva preferenze e che avrebbe appoggiato fedelmente qualsiasi autorità legittima fosse emersa dalla decisione del popolo.


Il suo quarto giro di visite pastorali, che risultò più lungo degli altri a causa della guerra, terminò nel tardo 1946, ed egli ne iniziò prontamente un altro, durante il quale disse ai suoi sacerdoti che la nuova situazione di diffuso allontanamento dalla pratica cristiana imponeva loro di mostrare un eroismo apostolico. Organizzò un imponente congresso eucaristico a Monza per il settembre 1945, a cui, per svariati motivi, partecipò solo la metà dei fedeli dell'arcidiocesi. Questo fu seguito a Milano da un intenso ciclo di missioni per «arginare l'ondata tinticristiana». Organizzò anche un congresso mariano nel 1947.


Alla fine degli anni '50 del XX secolo, Schuster iniziò a sentire il peso dell'età, e divenne meno intraprendente. Fu però ancora in grado di dare voce a una esigenza operativa: «oggi non è auspicabile l'abbandono del mondo secolare da parte della Chiesa, anzi, non è possibile. C'è bisogno di andare incontro alle masse per cristianizzarle nuovamente». Suggerì anche la necessità di un concilio per dare inizio all'opera pastorale. Tuttavia, l'azione pratica che proponeva appariva troppo tradizionale: la formazione del clero, l'Azione cattolica, l'opposizione al comunismo e ai suoi simpatizzanti.


Morì il pomeriggio del 30 agosto dello stesso anno. Le sue ultime parole furono per i seminaristi: «Volete qualcosa per cui ricordarmi? Tutto quello che posso lasciarvi è un'esortazione alla santità».


La notizia della sua morte si diffuse rapidamente, migliaia di persone si recarono al seminario, portando montagne di fiori. La maggior parte erano persone povere che portavano semplici fiori di campo. Il corpo fu portato a Milano due giorni più tardi, il funerale paralizzò la città intera, con folle di gente in lacrime ai lati della strada.


Il 12 maggio 1996 è stato infine beatificato da papa Giovanni Paolo II.


MARTIROLOGIO ROMANO. A Venegono vicino a Varese, transito del beato Alfredo Ildefonso Schuster, vescovo, che, da abate di San Paolo di Roma elevato alla sede di Milano, uomo di mirabile sapienza e dottrina, svolse con grande sollecitudine l’ufficio di pastore per il bene del suo popolo.

Vangelo del giorno


 Buongiorno e buon sabato ❣️ 

XXI settimana del Tempo Ordinario 💞 


"Sei stato fedele nel poco...prendi parte alla gioia del tuo padrone. "

( Dal vangelo di oggi)


🔥 VANGELO 


Dal Vangelo secodo Matteo : 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono

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✝️🕊️🌈 Vangelo del giorno

  SANTA TERESA VERGINE E DOTTORE DELLA CHIESA Guai a voi, farisei; guai a voi dottori della legge. Dal Vangelo secondo Luca Lc 11,42-46   In...