martedì 24 dicembre 2024

Il super Santo del giorno


  chi va a Medjugorje avrà conosciuto

Questo Santo SAN CHARBEL MAKHOUF

Detto anche il PADRE PIO del Libano 🇱🇧


Nascita e infanzia.

Youssef (Giuseppe) Antun Makhlouf nacque a Béqaakafra, nel nord del Libano l’8 maggio 1828. Ricevette dalla sua famiglia, maronita, una educazione profondamente cristiana e particolarmente mariana che gli donò una passione per la preghiera fin dai suoi primi anni, attirato dalla vita monastica ed ermetica sull’esempio dei suoi due zii materni (in eremitaggio nel monastero di Sant’Antonio di Qozhaya). Suo padre, Antoun Zaarour Makhlouf, obbligato a portare, con il proprio asino, il foraggio alle truppe dell’Impero Ottomano morì l’8 agosto del 1831 a Ghirfine, sulla strada del ritorno. Youssef, dunque, rimasto orfano a soli tre anni, passò sotto la tutela dello zio paterno Tanios. Sua madre, Brigita Chidiac, si risposò dopo due anni con Lahhoud Ibrahim che, divenuto sacerdote al servizio del suo villaggio, prese il nome di Abdelahad (Domenico). Anche il padre acquisito fu d’esempio per Youssef, il quale, intanto, frequentava la scuola del villaggio, imparando l’arabo e il siriaco. Era pio al punto che il villaggio lo chiamava “il Santo”. A dieci anni cominciò a fare il pastore, portando al pascolo un piccolo gregge. Spesso si ritirava in una grotta appena fuori del paese (oggi chiamata “la grotta del santo”) a pregare davanti a un’immagine della Vergine Maria. Il giovane, pur sentendo di essere chiamato alla vita monastica, non poté farlo prima dei ventitré anni, a causa dell’opposizione dello zio; la madre, invece, avrebbe approvato la sua scelta.

Vita di San Charbel Makhlouf

(1828-1898)

Vita monastica.

Un mattino dell’anno 1851, in un giorno non precisato, Youssef lasciò la sua famiglia e il suo villaggio, senza salutare nessuno. Dopo un giorno di cammino, arrivò al monastero di Nostra Signora di Mayfouq, dove fu accolto come novizio nell’Ordine Libanese Maronita. Nel novembre 1851, una domenica, vestì l’abito religioso. Con l’occasione, cambiò il nome di Battesimo con quello di Charbel, in onore di un martire antiocheno dell’epoca di Traiano: in siriaco, significa “racconto di Dio”. Trascorso il primo anno di noviziato, fu trasferito da Mayfouq al monastero di San Marun ad Annaya. Emessi i voti solenni il 1° novembre 1853, fu mandato per studiare la teologia al monastero dei Santi Cipriano e Giustina a Kfifan. Tra i suoi insegnanti ci fu una figura straordinaria di vita monastica, il padre assistente generale Nimatullah Kassab Al-Hardini: non fu solo il suo docente di Teologia morale, ma gli fu anche d’esempio nella vita monastica (è stato canonizzato nel 2004). Il 23 luglio 1859 fu ordinato sacerdote e rimandato nel monastero di Annaya, dove risiedette per quindici anni. Padre Charbel si distingueva soprattutto per il raccoglimento con cui pregava e per la prontezza con cui obbediva ai superiori, in qualsiasi incarico gli venisse affidato. Spesso si recava nei villaggi vicini per celebrare la Messa. Altre volte veniva chiamato a dare l’unzione con l’olio per qualche ammalato o moribondi, o ancora doveva benedire i campi e il lavoro dei contadini, etc. Non si sottraeva a nessun tipo di fatica, anche la più pesante, come quella del lavoro nei campi. In più, cominciavano a diffondersi i racconti di alcuni suoi interventi che, a detta degli abitanti dei dintorni, avevano del miracoloso.


Vita eremitica e morte.

Padre Charbel visse 16 anni nel Monastero di San Marone (Annaya). Agli inizi del 1875, si sentì chiamato alla vita degli eremiti. Tuttavia, i confratelli lo consideravano un prezioso aiutante e un modello da seguire, quindi non osavano concedergli di partire. Lo stesso padre superiore esitava a chiedere al superiore generale il permesso perché padre Charbel si recasse all’eremo del monastero. Una sera, padre Charbel chiese a un giovane servitore di riempire la sua lanterna con olio, quest’ultimo gli volle giocare uno scherzo, e la riempì con acqua. Padre Charbel, che non sapeva dello scherzo, accese lo stesso la lanterna. Durante la notte, il superiore si alzò e vide che la cella di padre Charbel era illuminata. Andò a rimproverarlo per non aver ubbidito: i monaci, infatti, dovevano spegnere le lampade prima del riposo. Lui si scusò di non aver saputo del divieto, ma uno dei servitori spiegò di aver messo dell’acqua nella lanterna. Il superiore controllò: era proprio così. Il giorno dopo, il padre superiore attivò la procedura che permette a padre Charbel di partire per il vicino eremo dei Santi Pietro e Paolo ad Annaya, situato a millequattrocento metri sul livello del mare. Secondo le regole dell’Ordine Libanese maronita, gli eremiti non vivono soli, ma in piccole comunità, composte da un massimo di tre monaci. Inoltre, seguono una regola speciale nell’esercizio delle preghiere, del lavoro, del digiuno, del silenzio e in altre pratiche. Padre Charbel le seguiva con attenzione e zelo: dormiva su un tappeto di pelle di capra, usando come cuscino un asse di legno avvolto da un pezzo di stoffa. Mangiava una volta sola al giorno come prevede la regola, un cibo private di carne, di grasso e di latticini. Pregava per ore, spesso a braccia aperte. Il culmine della sua giornata era la celebrazione della Messa, che celebrava con tale trasporto da commuoversi. Lasciava l’eremo solo se il superiore del monastero di Annaya, cui era collegato, gliene dava l’ordine per un servizio nella vicinanza o una missione precisa.
 

Morte.

Il 16 dicembre 1898, come tutti i giorni, padre Charbel stava celebrando la Messa insieme a padre Makarius. Si sentì male: fu fatto sedere per riposare, ma volle continuare la celebrazione. Arrivò alla frazione del Pane e all’elevazione del Calice, ma, mentre pronunciava «abo dqushto» (O vero Padre), la preghiera che accompagna la frazione del Pane, cadde a terra: aveva avuto un colpo apoplettico. Trasportato nella sua cella, padre Charbel vi passò otto giorni in agonia. Ripeteva di continuo brevi invocazioni, compresa quella della Messa, che non aveva potuto terminare: «O Vero Padre, accetta l’offerta gradita del tuo Figlio…». Rifiutò le comodità più semplici, come una coperta in più, e anche una minestra col burro, voleva conservare la regola degli eremiti fino alla fine e affronta la morte come un vero eremita. Continuò a ripetere le invocazioni a Dio, alla Madonna, a san Giuseppe e ai santi Pietro e Paolo finché, il 24 dicembre, lasciò questo mondo.

Beatificazione e canonizzazione.

A partire da alcuni mesi dopo la morte si verificarono fenomeni straordinari. La sua tomba nel cimitero del monastero, su cui di notte splendevano delle luci non naturali, fu aperta il 16 aprile 1899: il corpo, trovato intatto e morbido, fu riposto in un’altra cassa e collocato in una cappella appositamente preparata. Dato che il corpo emetteva del sudore rossastro, le vesti venivano cambiate due volte la settimana. Questo fenomeno fu continuo per 67 anni. Per via di questi prodigi e della fama di santità che circondava padre Charbel, fu introdotta la sua causa di beatificazione. Il processo informativo diocesano cominciò il 4 maggio 1926 presso il Patriarcato di Antiochia dei Maroniti. Nel 1950, monaci e fedeli videro che dal muro del sepolcro stillava un liquido denso. Supponendo un’infiltrazione d’acqua, il 25 febbraio, davanti a tutta la comunità monastica, fu riaperto il sepolcro: la bara era intatta, il corpo era ancora morbido e conservava la temperatura dei corpi viventi. Il superiore con un amitto asciugò il sudore rossastro dal viso di padre Charbel e il volto rimase impresso sul panno. Sempre nel 1950, il 22 aprile, le autorità religiose, con una apposita commissione di tre noti medici, riaprirono la cassa e stabilirono che il liquido emanato dal corpo era lo stesso di quello analizzato nel 1899 e nel 1927. All’esterno, la folla, composta anche da persone non cattoliche e non cristiane, implorava con preghiere la guarigione di infermi lì portati da parenti e fedeli. Molte guarigioni istantanee ebbero luogo in quell’occasione. Quasi come se le porte del cielo si fossero aperte e tutte le grazie fossero scese sopra Annaya. La ricognizione canonica del 1952 confermò le precedenti analisi. Il 15 luglio 1965 il Papa san Paolo VI autorizzò la promulgazione del decreto sull’eroicità delle virtù di padre Charbel, che diventava Venerabile. Secondo la normativa allora in uso, per ottenere la beatificazione di padre Charbel servivano due miracoli comprovati: Il primo caso preso in esame fu quello di suor Maria Abel Kamary, della Congregazione dei Sacri Cuori di Bikfaya. Per quattordici anni aveva sofferto dolori fortissimi a causa di un’ulcera pilorica, che neppure due interventi chirurgici valsero a curare. L’11 luglio 1950 fu portata al sepolcro di padre Charbel e sollevata perché potesse toccare la pietra tombale, appena lo fece, si sentì attraversare il corpo come da una scossa elettrica, poi fu portata a riposare. Il giorno dopo, mentre cercava di asciugare il liquido che trasudava dalla tomba, si alzò da sola, tra lo stupore dei pellegrini. Il secondo fatto prodigioso riguardò invece Iskandar Obeid, un fabbro di Baabdat, che nel 1937 subì il distacco della retina destra, in seguito a un incidente. I medici volevano enucleare l’occhio destro per evitare che anche il sinistro s’infettasse, ma lui rifiutò. Fece invece ricorso, nel 1950, a padre Charbel, recandosi sulla sua tomba. Tre giorni più tardi sentì dolore all’occhio malato, che si gonfiò, ma non fu più cieco. In seguito al riconoscimento di questi due miracoli, san Paolo VI beatificò padre Charbel il 5 dicembre 1965, durante la sessione conclusive del Concilio Ecumenico Vaticano II mentre tutta la Chiesa era presente. Perché padre Charbel venisse canonizzato, fu necessario il riconoscimento di un terzo miracolo. Fu quindi considerato il caso di Mariam Assaf Awad, una vedova di origine siriana residente in Libano. Operata per tre volte per un tumore allo stomaco, all’intestino e alla gola, fu dichiarata incurabile dai medici. Una notte, nel 1967, invocò con particolare intensità il Beato Charbel, a cui aveva iniziato a raccomandarsi quando le era stata prospettata la morte imminente. Il mattino dopo, si accorse che il tumore era sparito. Dopo l’esame da parte della Consulta Medica e dei membri della Congregazione delle Cause dei Santi, san Paolo VI canonizzò padre Charbel il 9 ottobre 1977, nella basilica di San Pietro a Roma. Dopo la beatificazione, i resti mortali di san Charbel non emisero più il liquido e si ridussero al solo scheletro, ricoperto dalla pelle essiccata. Sono venerati nel monastero di San Marun ad Annaya, in un’urna di legno di cedro. I fedeli lo commemorano ogni 22 del mese in quanto è una data ricorrente. Il 22 ottobre 1928, il superiore generale dell’Ordine Libanese Maronita aveva consegnato a papa Pio XI i documenti delle cause di beatificazione e canonizzazione di tre Servi di Dio dell’Ordine Libanese Maronita: Nimatullah Kassab Al-Hardini (canonizzato nel 2004), Rafqa Ar-Rayes (canonizzata nel 2001) e Charbel. Il 22 aprile 1950 ci fu l’apertura della sua tomba e l’esaminazione del suo corpo, ed è stata una giornata di doni straordinari. Infine, uno degli ultimi miracoli a lui attribuiti è avvenuto il 22 gennaio 1994, alla signora Nohad Shami.

 

domenica 22 dicembre 2024

Il Santo del giorno


 23 DICEMBRE


 


SAN SERVOLO IL PARALITICO


 


Roma, † 23 dicembre 590


 


Servolo nacque da famiglia poverissima, e colpito da paralisi fin da bambino, domandava l'elemosina presso la porta della Chiesa di San Clemente in Roma; e con tale umiltà e grazia la chiedeva, che tutti gli volevano bene ed il regalavano. Caduto ammalato, tutti accorrevano a visitarlo, e tali erano le espressioni e le sentenze che uscivano dal suo labbro, che tutti ne partivano consolati. Essendo egli agonizzante, d'un tratto si scosse esclamò: "Udite! oh quale armonia! sono i Cori angelici! ah! io li veggo gli Angeli!" e spirò. Era l'anno 590.


 




 


PREGHIERA


 


Per quella esemplare pazienza che sempre conservasti e nella povertà e nelle angustie e nella infermità, impetra a noi, o beato Servolo, la virtù della rassegnazione ai divini voleri affinchè non abbiamo mai a lamentarci di tutto ciò che possa accaderci di sinistro.


 




 

sabato 21 dicembre 2024

Feste e Santi


 


Santo del giorno


Santa Francesca Saverio Cabrini

22 dicembre 

Liturgia del giorno:


Mic 5, 1-4; Sal.79; Eb 10, 5-10; Lc 1, 39-48.     


È la santa degli emigrati italiani. Nata, ultima di 13 figli, il 15 luglio 1850 a Sant’Angelo Lodigiano, crebbe sotto la guida della sorella Rosa, che fu la sua maestra anche perché teneva una scuola privata in paese. A 11 anni fece voto di castità e dopo le elementari entrò ad Arluno, presso Milano, tra le Figlie del S. Cuore. A 18 si diplomò maestra, e sostituì per due anni una collega inferma a Vidardo. Nel tempo libero, andava con Rosa a visitare i malati e ad aiutare i poveri. Voleva farsi suora, ma per la sua salute cagionevole non fu accettata né dalle Figlie del Sacro Cuore né dalle Canossiane. Trascorse 6 anni a Codogno presso le “Sorelle della Provvidenza”, dove dopo aver pronunciati i voti divenne anche superiora, ma il vescovo nel 1880 sciolse la comunità e lei con alcune compagne fondò le Missionarie del S. Cuore di Gesù, con il compito di istruire la gioventù e curare i malati. L’anno dopo, avendo conosciuto il vescovo di Piacenza mons. Scalabrini (beatificato nel 1997), accettò la sua proposta di inviare alcune suore negli Stati Uniti dove milioni di emigrati italiani mancavano di sacerdoti, scuole, orfanotrofi, chiese e ospedali. Incoraggiata dal papa Leone XIII, cominciò a servire i suoi compatrioti, attraversando per 26 volte l’Atlantico, fondando e organizzando direttamente ben 27 case. Non le mancarono ostacoli e incomprensioni, anche da parte di qualche vescovo. Invitata a tornare in Italia rispose: «Siamo venute in America per ordine della Santa Sede e qui dobbiamo restare». Per i continui viaggi per terra e per mare, la santa non ebbe una direzione spirituale stabile, ma suppliva con la preghiera (si alzava alle quattro del mattino), penitenze e mortificazioni, nonché con la inesauribile carità. Assalita da violente febbri, fu ricoverata in ospedale a Chicago dove il 22 dicembre 1917 morì a causa della rottura di una vena polmonare. Beatificata nel 1938 da Pio XI, fu canonizzata dal Pio XII il7 luglio 1946

venerdì 20 dicembre 2024

21 dicembre San Pietro Canisio


 

San Pietro Canisio Sacerdote e dottore della Chiesa


Festa: 21 dicembre - Memoria Facoltativa


Nimega, Olanda, 1521 - Friburgo, Svizzera, 21 dicembre 1597



Pietro Kanijs (Canisio, nella forma latinizzata) nasce a Nimega, in Olanda, nel 1521. È figlio del borgomastro della città, ha perciò la possibilità di studiare diritto canonico a Lovanio e diritto civile a Colonia. In questa città ama trascorrere il tempo libero nel monastero dei certosini e la lettura del breve opuscolo degli Esercizi spirituali che Sant'Ignazio ha scritto da poco determina la svolta decisiva della sua vita: compiuta la pia pratica a Magonza sotto la direzione di padre Faber, entra nella Compagnia di Gesù ed è l'ottavo gesuita a emettere i voti solenni. A lui si deve la pubblicazione delle opere di San Cirillo di Alessandria, di San Leone Magno, di San Girolamo e di Osio di Cordova. Prende parte attiva al concilio di Trento, come teologo del cardinale Truchsess e consigliere del papa. Sant'Ignazio lo chiama in Italia, mandandolo dapprima in Sicilia, poi a Bologna, per rimandarlo quindi in Germania, dove resta per trent'anni, in qualità di superiore provinciale. Pio V gli offrì il cardinalato, ma Pietro Canisio pregò il papa di lasciarlo al suo umile servizio della comunità. Morì a Friburgo, in Svizzera, il 21 dicembre 1597.


Etimologia: Pietro = pietra, sasso squadrato, dal latino


Martirologio Romano: San Pietro Canisio, sacerdote della Compagnia di Gesù e dottore della Chiesa, che, mandato in Germania, si adoperò strenuamente per molti anni nel difendere e rafforzare la fede cattolica con la predicazione e con i suoi scritti, tra i quali il celebre Catechismo. A Friburgo in Svizzera prese infine riposo dalle sue fatiche.



giovedì 19 dicembre 2024

Il Santo del giorno


 

 Sezione L San Liberato (Liberale)Condividi su Facebook

San Liberato (Liberale) Martire a Roma

Festa: 20 dicembre

Martirologio Romano: Sempre a Roma sulla via Salaria antica nel cimitero ad Septem Palumbas, san Liberale, martire, che si dice abbia un tempo ricoperto nel mondo la carica di console.


Proveniente da un elenco del ‘Martirologio Geronimiano’, il nome di s. Liberato martire, fu inserito, anche qui al 20 dicembre, nel ‘Martirologio Romano’ composto nel secolo XVI, dal grande storico cardinale Cesare Baronio.
Nonostante che in tutti i codici è indicato con “in Oriente”, egli è invece un autentico martire di Roma, il suo nome era più propriamente Liberale, in latino Liberalis, tradotto poi erroneamente in Liberatis.
Egli era certamente sepolto nel cimitero di Via Salaria Vecchia, dove riposavano anche i due martiri Giovanni e Festo; gli ‘Itinerari’ del secolo VII, che riportavano per i fedeli pellegrini, le basiliche e catacombe con tombe di martiri, citano s. Liberato sepolto nel sottosuolo della basilica, dedicata al martire Giovanni.
Egli era un console, discendente da nobile famiglia, che fattosi cristiano si innamorò di Cristo, rinunziando alla carriera, alla politica, agli agi della nobiltà e seguendo la nuova via dell’amore fraterno e della fede in Dio, venne arrestato e condannato a morte, sotto il regno di Claudio il Gotico (269-270).
Un certo Florio, eresse in onore del martire il mausoleo tombale, con la speranza di ottenere da Dio un giusto premio per la sua venerazione dei santi; in una lapide messa dallo stesso Florio, egli racconta che il sepolcro era stato profanato durante l’invasione di Alarico nel 410 e che lui fedele devoto, l’aveva restaurato.

Il nome ha origine latina e significa “liberato dalla schiavitù”, maggiormente venne adottato dal cristianesimo per indicare “liberato dalla schiavitù del peccato o del paganesimo”.

mercoledì 18 dicembre 2024

Santi e Beati





 19 DICEMBRE

 

BEATO GUGLIELMO DI FENOGLIO

 

1065 - 1120

 

Nato nel 1065 a Garresio-Borgoratto, diocesi di Mondovì, il beato Guglielmo di Fenoglio, dopo un periodo di romitaggio a Torre-Mondovì, si trasferì a Casotto - sempre in zona - dove dei solitari vivevano secondo lo stile di san Bruno, fondatore dei Certosini. Fu così tra i primi religiosi della Certosa di Casotto. Vi morì da fratello laico (è patrono dei conversi certosini), intorno al 1120. La tomba fu da subito meta di pellegrini. Pio IX confermò il culto nel 1860. Tra le circa 100 raffigurazioni note del beato (solo nella Certosa di Pavia ce ne sono 22) una fa riferimento al leggendario «miracolo della mula». Guglielmo vi è ritratto con una zampa dell'animale in mano. Con essa si sarebbe difeso da alcuni malintenzionati per poi riattaccarla al corpo dell'equino. (Avvenire)

 

martedì 17 dicembre 2024

IL Santo del giorno


 


San Gaziano di Tours

Graziano si fermò nella Gallia lugdunense e predicò la fede cristiana a Tours per circa cinquant'anni, fondando la diocesi di Tours. Inizialmente incontrò ...

lunedì 16 dicembre 2024

Santi e Beati


 

17 DICEMBRE


 


SAN GIOVANNI DE MATHA


 


Faucon (Alpes-de-Haute-Provence, Francia), 23 giugno 1154 - Roma, 17 dicembre 1213


 


Nato in Provenza nel 1154, insegnava teologia a Parigi quando decise di lasciare la cattedra per farsi prete, a 40 anni. Durante la sua prima messa, il 28 febbraio 1193, gli accade qualcosa di straordinario. Mentre celebrava gli comparve una visione: un Uomo dal volto radioso, che teneva per mani due uomini con catene ai piedi, l'uno nero e deforme, l'altro pallido e macilento; quest'uomo gli indicò di liberare queste povere creature incatenate per motivi di fede. Giovanni De Matha comprese immediatamente che quell'uomo era Gesù Cristo Pantocratore, che rappresentava la Trinità, e gli uomini in catene erano gli schiavi cristiani e musulmani. Capì, quindi, che sarebbe stata questa la sua missione di sacerdote: diede avvio, quindi, a quello che sarebbe diventato l'Ordine della Santissima Trinità, approvato nel 1198. Il fondatore dei Trinitari morì a Roma nel 1213. Fu santificato nel 1666.

domenica 15 dicembre 2024

Novena di Natale I giorno

 



PRIMO GIORNO

 

 

  VIENI, BAMBINO GESU’

Cristo è venuto: eppure noi l'attendiamo ancora come già gli antichi figli di Israele. Cristo è in mezzo a noi: eppure noi viviamo l'esperienza dell'esilio, «sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore» (2 Cor 5,6). Tutto il Nuovo Testamento è permeato di questa attesa del Cristo che deve venire e che sembra continuamente imminente. Ma il libro che riassume le attese di tutte le generazioni cristiane è l'Apocalisse, nei suoi ultimi passi.

 

Gesù verrà presto

«Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il Principio e la Fine. Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all'albero della vita e potranno entrare per le porte nella città. Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna! Io, Gesù, ho mandato il mio Angelo per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese. Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino» (Ap 22, 12-16).

 

Senza distinzioni e condizioni

Il mondo intero è nell'attesa e la nostra stessa preghiera deve essere protesa verso la venuta del Signore. In questo "Vieni, Bambino Gesù", la nostra preghiera dovrebbe far proprie tutte le attese, le sofferenze fisiche e morali dell'umanità che vive accanto a noi. La sua venuta è, per ciascuno di noi, una realtà viva: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, verrò da lui, cenerò con lui ed Egli con me» (Ap 3,20). Se lasciamo entrare il Bambino, ci farà partecipi dei suoi doni e dei suoi beni; dirà una parola a ciascuno di noi. 

Questa parola si rivolge a tutti, senza distinzioni e condizioni. Nonostante i nostri peccati passati, la nostra mediocrità, l'insensibilità spirituale, basta credere all'Amore. La grazia di Dio può porre rimedio a tutto. (J. Danielou)

 

Noi Ti invochiamo

In mezzo alle angustie del tempo presente
- Noi Ti invochiamo, o Bambino Gesù.

 

Nella speranza di contemplare in Cielo quelle realtà in cui gli Angeli bramano fissare lo sguardo.
- Noi Ti invochiamo, o Bambino Gesù.

Per noi stessi e per quanti attendono con fiducia la Tua venuta
- Noi Ti invochiamo, o Bambino Gesù.

Per il mondo intero e per gli uomini che ancora non Ti conoscono
- Noi Ti invochiamo, o Bambino Gesù.

 

O Bambino Gesù, degnati di accogliere la preghiera di quanti credono e sperano in Te; vieni presto a liberarci da questo nostro esilio, e riuniscici nel Tuo regno glorioso, dove Tu vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

 

sabato 14 dicembre 2024

Santi e feste , III DI AVVENTO


 


15 DICEMBRE


 


SANTA VIRGINIA CENTURIONE BRACELLI


 


Vedova - Genova, 2 aprile 1587 - Carignano, 15 dicembre 1651


 


Nata a Genova li 2 aprile 1587 da nobile famiglia. Virginia fu ben presto destinata dal padre ad un vantaggioso matrimonio. Aveva 15 anni. Rimasta vedova con due figlie a soli 20 anni, comprese che il Signore la chiamava a servirLo nei poveri. Dotata di viva intelligenza donna colla e appassionala della S. Scrittura, da ricca che era si fece povera per soccorrere le umane miserie della sua città; consumò così la vita nell'esercizio eroico di tutte le virtù, tra cui risplendono la carità e l'umiltà. Suo motto fu: «Servire Dio nei suoi poveri». Il suo apostolato fu rivolto in modo particolare agli anziani, donne in difficoltà e malati. L'istituzione con la quale passò alla Storia fu "L'Opera di Nostra Signora del rifugio - Genova" e delle "Figlie di N.S. al Monte Calvario - Roma". Gratificata dal Signore con estasi, visioni, locuzioni interiori moriva il 15 dicembre 1651, all'età di 64 anni

venerdì 13 dicembre 2024

Santi e Beati


 14 DICEMBRE


 


SAN GIOVANNI DELLA CROCE


 


Sembra sia nato nel 1540, a Fontiveros (Avila, Spagna). Rimase orfano di padre e dovette trasferirsi con la mamma da un luogo all'altro, mentre portava avanti come poteva i suoi studi. A Medina, nel 1563, vestì l'abito dei Carmelitani. Ordinato sacerdote nel 1567 dopo gli studi di filosofia e teologia fatti a Salamanca, lo stesso anno si incontrò con santa Teresa di Gesù, la quale da poco aveva ottenuto dal priore generale Rossi il permesso per la fondazione di due conventi di Carmelitani contemplativi (poi detti Scalzi), perchè fossero di aiuto alle monache da lei istituite. Il 28 novembre 1568 Giovanni fece parte del primo nucleo di riformati a Duruelo, cambiando il nome di Giovanni di San Mattia in quello di Giovanni della Croce. Vari furono gli incarichi entro la riforma. Dal 1572 al 1577 fu anche confessore-governatore del monastero dell'Incarnazione di Avila. Venne erroneamente incolpato e incarcerato per otto mesi per un incidente interno al monastero. Fu in carcere che scrisse molte delle sue poesie. Morì a 49 anni tra il 13 e il 14 dicembre 1591 a Ubeda. (Avvenire)

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