Vita monastica.
Un mattino dell’anno 1851, in un giorno non precisato, Youssef lasciò la sua famiglia e il suo villaggio, senza salutare nessuno. Dopo un giorno di cammino, arrivò al monastero di Nostra Signora di Mayfouq, dove fu accolto come novizio nell’Ordine Libanese Maronita. Nel novembre 1851, una domenica, vestì l’abito religioso. Con l’occasione, cambiò il nome di Battesimo con quello di Charbel, in onore di un martire antiocheno dell’epoca di Traiano: in siriaco, significa “racconto di Dio”. Trascorso il primo anno di noviziato, fu trasferito da Mayfouq al monastero di San Marun ad Annaya. Emessi i voti solenni il 1° novembre 1853, fu mandato per studiare la teologia al monastero dei Santi Cipriano e Giustina a Kfifan. Tra i suoi insegnanti ci fu una figura straordinaria di vita monastica, il padre assistente generale Nimatullah Kassab Al-Hardini: non fu solo il suo docente di Teologia morale, ma gli fu anche d’esempio nella vita monastica (è stato canonizzato nel 2004). Il 23 luglio 1859 fu ordinato sacerdote e rimandato nel monastero di Annaya, dove risiedette per quindici anni. Padre Charbel si distingueva soprattutto per il raccoglimento con cui pregava e per la prontezza con cui obbediva ai superiori, in qualsiasi incarico gli venisse affidato. Spesso si recava nei villaggi vicini per celebrare la Messa. Altre volte veniva chiamato a dare l’unzione con l’olio per qualche ammalato o moribondi, o ancora doveva benedire i campi e il lavoro dei contadini, etc. Non si sottraeva a nessun tipo di fatica, anche la più pesante, come quella del lavoro nei campi. In più, cominciavano a diffondersi i racconti di alcuni suoi interventi che, a detta degli abitanti dei dintorni, avevano del miracoloso.
Vita eremitica e morte.
Padre Charbel visse 16 anni nel Monastero di San Marone (Annaya). Agli inizi del 1875, si sentì chiamato alla vita degli eremiti. Tuttavia, i confratelli lo consideravano un prezioso aiutante e un modello da seguire, quindi non osavano concedergli di partire. Lo stesso padre superiore esitava a chiedere al superiore generale il permesso perché padre Charbel si recasse all’eremo del monastero. Una sera, padre Charbel chiese a un giovane servitore di riempire la sua lanterna con olio, quest’ultimo gli volle giocare uno scherzo, e la riempì con acqua. Padre Charbel, che non sapeva dello scherzo, accese lo stesso la lanterna. Durante la notte, il superiore si alzò e vide che la cella di padre Charbel era illuminata. Andò a rimproverarlo per non aver ubbidito: i monaci, infatti, dovevano spegnere le lampade prima del riposo. Lui si scusò di non aver saputo del divieto, ma uno dei servitori spiegò di aver messo dell’acqua nella lanterna. Il superiore controllò: era proprio così. Il giorno dopo, il padre superiore attivò la procedura che permette a padre Charbel di partire per il vicino eremo dei Santi Pietro e Paolo ad Annaya, situato a millequattrocento metri sul livello del mare. Secondo le regole dell’Ordine Libanese maronita, gli eremiti non vivono soli, ma in piccole comunità, composte da un massimo di tre monaci. Inoltre, seguono una regola speciale nell’esercizio delle preghiere, del lavoro, del digiuno, del silenzio e in altre pratiche. Padre Charbel le seguiva con attenzione e zelo: dormiva su un tappeto di pelle di capra, usando come cuscino un asse di legno avvolto da un pezzo di stoffa. Mangiava una volta sola al giorno come prevede la regola, un cibo private di carne, di grasso e di latticini. Pregava per ore, spesso a braccia aperte. Il culmine della sua giornata era la celebrazione della Messa, che celebrava con tale trasporto da commuoversi. Lasciava l’eremo solo se il superiore del monastero di Annaya, cui era collegato, gliene dava l’ordine per un servizio nella vicinanza o una missione precisa.
Morte.
Il 16 dicembre 1898, come tutti i giorni, padre Charbel stava celebrando la Messa insieme a padre Makarius. Si sentì male: fu fatto sedere per riposare, ma volle continuare la celebrazione. Arrivò alla frazione del Pane e all’elevazione del Calice, ma, mentre pronunciava «abo dqushto» (O vero Padre), la preghiera che accompagna la frazione del Pane, cadde a terra: aveva avuto un colpo apoplettico. Trasportato nella sua cella, padre Charbel vi passò otto giorni in agonia. Ripeteva di continuo brevi invocazioni, compresa quella della Messa, che non aveva potuto terminare: «O Vero Padre, accetta l’offerta gradita del tuo Figlio…». Rifiutò le comodità più semplici, come una coperta in più, e anche una minestra col burro, voleva conservare la regola degli eremiti fino alla fine e affronta la morte come un vero eremita. Continuò a ripetere le invocazioni a Dio, alla Madonna, a san Giuseppe e ai santi Pietro e Paolo finché, il 24 dicembre, lasciò questo mondo.
Beatificazione e canonizzazione.
A partire da alcuni mesi dopo la morte si verificarono fenomeni straordinari. La sua tomba nel cimitero del monastero, su cui di notte splendevano delle luci non naturali, fu aperta il 16 aprile 1899: il corpo, trovato intatto e morbido, fu riposto in un’altra cassa e collocato in una cappella appositamente preparata. Dato che il corpo emetteva del sudore rossastro, le vesti venivano cambiate due volte la settimana. Questo fenomeno fu continuo per 67 anni. Per via di questi prodigi e della fama di santità che circondava padre Charbel, fu introdotta la sua causa di beatificazione. Il processo informativo diocesano cominciò il 4 maggio 1926 presso il Patriarcato di Antiochia dei Maroniti. Nel 1950, monaci e fedeli videro che dal muro del sepolcro stillava un liquido denso. Supponendo un’infiltrazione d’acqua, il 25 febbraio, davanti a tutta la comunità monastica, fu riaperto il sepolcro: la bara era intatta, il corpo era ancora morbido e conservava la temperatura dei corpi viventi. Il superiore con un amitto asciugò il sudore rossastro dal viso di padre Charbel e il volto rimase impresso sul panno. Sempre nel 1950, il 22 aprile, le autorità religiose, con una apposita commissione di tre noti medici, riaprirono la cassa e stabilirono che il liquido emanato dal corpo era lo stesso di quello analizzato nel 1899 e nel 1927. All’esterno, la folla, composta anche da persone non cattoliche e non cristiane, implorava con preghiere la guarigione di infermi lì portati da parenti e fedeli. Molte guarigioni istantanee ebbero luogo in quell’occasione. Quasi come se le porte del cielo si fossero aperte e tutte le grazie fossero scese sopra Annaya. La ricognizione canonica del 1952 confermò le precedenti analisi. Il 15 luglio 1965 il Papa san Paolo VI autorizzò la promulgazione del decreto sull’eroicità delle virtù di padre Charbel, che diventava Venerabile. Secondo la normativa allora in uso, per ottenere la beatificazione di padre Charbel servivano due miracoli comprovati: Il primo caso preso in esame fu quello di suor Maria Abel Kamary, della Congregazione dei Sacri Cuori di Bikfaya. Per quattordici anni aveva sofferto dolori fortissimi a causa di un’ulcera pilorica, che neppure due interventi chirurgici valsero a curare. L’11 luglio 1950 fu portata al sepolcro di padre Charbel e sollevata perché potesse toccare la pietra tombale, appena lo fece, si sentì attraversare il corpo come da una scossa elettrica, poi fu portata a riposare. Il giorno dopo, mentre cercava di asciugare il liquido che trasudava dalla tomba, si alzò da sola, tra lo stupore dei pellegrini. Il secondo fatto prodigioso riguardò invece Iskandar Obeid, un fabbro di Baabdat, che nel 1937 subì il distacco della retina destra, in seguito a un incidente. I medici volevano enucleare l’occhio destro per evitare che anche il sinistro s’infettasse, ma lui rifiutò. Fece invece ricorso, nel 1950, a padre Charbel, recandosi sulla sua tomba. Tre giorni più tardi sentì dolore all’occhio malato, che si gonfiò, ma non fu più cieco. In seguito al riconoscimento di questi due miracoli, san Paolo VI beatificò padre Charbel il 5 dicembre 1965, durante la sessione conclusive del Concilio Ecumenico Vaticano II mentre tutta la Chiesa era presente. Perché padre Charbel venisse canonizzato, fu necessario il riconoscimento di un terzo miracolo. Fu quindi considerato il caso di Mariam Assaf Awad, una vedova di origine siriana residente in Libano. Operata per tre volte per un tumore allo stomaco, all’intestino e alla gola, fu dichiarata incurabile dai medici. Una notte, nel 1967, invocò con particolare intensità il Beato Charbel, a cui aveva iniziato a raccomandarsi quando le era stata prospettata la morte imminente. Il mattino dopo, si accorse che il tumore era sparito. Dopo l’esame da parte della Consulta Medica e dei membri della Congregazione delle Cause dei Santi, san Paolo VI canonizzò padre Charbel il 9 ottobre 1977, nella basilica di San Pietro a Roma. Dopo la beatificazione, i resti mortali di san Charbel non emisero più il liquido e si ridussero al solo scheletro, ricoperto dalla pelle essiccata. Sono venerati nel monastero di San Marun ad Annaya, in un’urna di legno di cedro. I fedeli lo commemorano ogni 22 del mese in quanto è una data ricorrente. Il 22 ottobre 1928, il superiore generale dell’Ordine Libanese Maronita aveva consegnato a papa Pio XI i documenti delle cause di beatificazione e canonizzazione di tre Servi di Dio dell’Ordine Libanese Maronita: Nimatullah Kassab Al-Hardini (canonizzato nel 2004), Rafqa Ar-Rayes (canonizzata nel 2001) e Charbel. Il 22 aprile 1950 ci fu l’apertura della sua tomba e l’esaminazione del suo corpo, ed è stata una giornata di doni straordinari. Infine, uno degli ultimi miracoli a lui attribuiti è avvenuto il 22 gennaio 1994, alla signora Nohad Shami.